Leggo oggi su un blog di cui non faccio il nome un articolo che parte da un certo spunto e poi riflette sul colonialismo italiano, Tempo di uccidere di Flaiano e l'odalischite berlusconiana. Tralascio il resto, non mi interessa, ma certe espressioni sono piuttosto stupefacenti, per me ovvio.
L'autore dice che durante un corso di scrittura creativa da lui tenuto un allievo scrive un racconto su una donna araba sfruttata dal suo uomo ecc. Il maestro lo contesta dicendo che cosa ne sapeva lui esattamente di donne arabe, quale conoscenza precisa e
approfondita aveva della loro cultura, del loro mondo, dei loro
sentimenti e ancora aggiunge che La verità è che non sarei affatto capace di scrivere un racconto che
abbia come protagonista una donna, raccontato dal punto di vista di una
donna e che narra vicende che riguardano una donna. Ritiene la scrittura di un simile racconto "un atto di presunzione".
L'assunto teoretico del tutto, esplicitato in esordio, è che l'autore ritiene di essere privo di quella dote necessaria a scrivere storie totalmente finte che
si chiama fantasia. Piuttosto, mi piace lavorare di immaginazione.
L’immaginazione fa germinare la finzione dal dato di realtà come la
pianta da un seme. Nella fantasia la finzione non germina ma viene
architettata.
Certe espressioni mi convincono sempre più dell'inutile supponenza dei corsi di scrittura creativa e di tutti i poveri allocchi che li frequentano (notoriamente chi sa fa e chi non sa insegna o meglio guadagna). Dio, certe cazzate nemmeno a quattordici anni le pensavo! Voglio dire: se non posso scrivere dal lato di una donna sfruttata, la Yourcenar che ha scritto dal lato di un uomo cinquantenne per giunta imperatore entrandogli nel corpo come una medium era una povera illusa e Dostoevskij allora? Per stare per oltre seicento pagine nel corpo e nell'anima di Raskòl'nikov avrebbe dovuto quanto meno dare un paio di accettate di prova a una vecchia usuraia? Parlare di fantasia come una parolaccia e di 'storie totalmente finte' significa che nel romanzo esistano 'storie non del tutto finte'? Quando Emilio Lussu scrive "Un anno sull'altipiano" la sua è comunque finzione, perché racconta tramite un oggetto finzionale che è il romanzo...possibile che costoro non capiscano cosa sia la parola finzione nella sua duplice accezione rispetto all'enunciazione di realtà? Fingere vuol dire 'plasmare' (come presupposto di mimesi ovvio) ma anche 'simulare, ingannare'. E il romanzo, qualsiasi romanzo che pretenda di essere tale, è oggetto finzionale per natura, non può scardinarsi da questo dato. Lo so, è un mio problema: certa produzione odierna ritiene il romanzo un genere cariato dal mercato e propende per la docufiction (senza sapere che il primo esempio vero verissimo, e insuperato, l'ha dato Manzoni con Storia della colonna infame) o per la prosa 'realista', impegnata con il reale. Tutta una certa corrente di 'narrativa', premiata dalla critica più in vista, abbandona il romanzo perché corrotto e sceglie la prosa, convincendosi di scrivere magari romanzi ancora. Il romanzo, quello vero non scimiottato, è considerato comunque passatempo ozioso, anticaglia reazionaria.
Citare Flaiano poi....ma non è forse proprio Flaiano a scrivere che "la fantasia trascurata si vendica" e ad aggiungere: "Le opere assolutamente fantastiche sono due volte vere, perché la fantasia ha regole che vanno rispettate; il che non vale per la realtà, affidata al caso e incongruente"?